La nuova Dakar arriva a Buenos Aires. Centinaia i veicoli in parata, migliaia le persone accorse per ricevere l'ultima tappa del rally più famoso al mondo. Il cielo è tale e quale a quello della bandiera argentina. L'azzurro intenso, le striature di nuvole ed il sole che ride, il tutto fa 40°, ma non basta a scoraggiare il pubblico eterogeneo: I vecchi motociclisti dal cuoio duro accanto alle famiglie organizzate con ombrelloni e frigo portatili. Come è per i piloti, che sentono secondario vincere ed invece fondamentale arrivare, tanto è per la gente. I vincitori rispettivamente di auto e moto, il sudafricano De Villiers e lo spagnolo Coma strappano l'ovazione, ma in realtà non importa saper riconoscere i migliori, quel che conta è esserci e vederli sfilare. Incantarsi con le forme colorate ed aggressive dei loro mostri roventi e soprattutto ottenere un saluto, mentre passano coi motori a bassi giri ed i volti stremati dai 792 km di oggi, e più di 9500 totali.
Le transenne ed i poliziotti che le devono controllare non contengono la smania di avvicinarsi. C'è chi grida delirante ad ogni pilota: "Eroe!" Ricevendo in cambio un paio di belle sgassate. Qualche motociclista sente l'energia della folla ed impenna festoso, innescando il giubilo generale.
L'apice lo si tocca con l'arrivo del beniamino locale Patronelli, secondo assoluto. Il suo quad arriva scortato da uno stuolo di moto di ogni sorta, dai cross da pista agli scooter incidentati. Nell'ultima curva si rischia la carambola, poi la sicurezza riesce a chiudere i cancelli alle spalle di Patronelli, il quadista scende e saluta il suo popolo come faceva Evita, poi scompare nell'area riservata.
Ora che è terminata, che cos'è stata questa Dakar americana? nostalgia dell'Africa? Forse meno di quel che ci si aspettava. Secondo quanto dicono i piloti il percorso è stato vario ed avvincente. Tutti concordano che le prime due tappe in Patagonia siano state le più difficili, poi le Ande, il pacifico e la meraviglia dell'Atacama. Il terreno più duro rispetto a quelli africani ha causato rotture frequenti, coinvolgendo maggiormente i meccanici. Il giapponese Sugawara , pilota di uno dei due camion dello storico team Hino, già concorrente in precedenti edizioni e figlio d'arte, mi spiega che tecnicamente il paragone tra il Sahara e qui è difficile: "È vero, mancano le dune cassè, ma un check point infondo a un canyon è altrettanto avvincente da raggiungere."
Anche il rapporto con il pubblico sembra essere migliorato. Andando oltre il problema del terrorismo che ha causato il cambio di scenario, le popolazioni africane interessate avevano sviluppato una generale insofferenza nei confronti della gara. Molti la vedevano come un circo di sfarzo in mezzo alla povertà, portatore di incidenti stradali più che di buoni affari. Qui la povertà resta, ma i colori della Dakar sono visti come una diversione e non un uno sfoggio. In merito, il pilota italo-argentino Peschiera ed il suo navigatore cileno Rodriguez raccontano divertiti che, cappottando la loro Toyota Fj, hanno perso il cric e quando di lì a poco hanno forato, non sapevano come sostituire la gomma. Il problema gliel'ha risolto "un ragazzo apparso dal nulla con un cric in mano", che li ha poi anche accompagnati presso quattro gommisti diversi, fino ad incontrarne uno disposto a mettere una toppa sull'unica ruota di scorta rimastagli.
Anche politicamente la questione sembra aver avuto un bilancio positivo. Una gara di motori non basta a distogliere l'attenzione di una nazione dagli impasse di governo, ma per ora resta una buona pubblicità internazionale sull'affidabilità di Cile ed Argentina.
Le transenne ed i poliziotti che le devono controllare non contengono la smania di avvicinarsi. C'è chi grida delirante ad ogni pilota: "Eroe!" Ricevendo in cambio un paio di belle sgassate. Qualche motociclista sente l'energia della folla ed impenna festoso, innescando il giubilo generale.
L'apice lo si tocca con l'arrivo del beniamino locale Patronelli, secondo assoluto. Il suo quad arriva scortato da uno stuolo di moto di ogni sorta, dai cross da pista agli scooter incidentati. Nell'ultima curva si rischia la carambola, poi la sicurezza riesce a chiudere i cancelli alle spalle di Patronelli, il quadista scende e saluta il suo popolo come faceva Evita, poi scompare nell'area riservata.
Ora che è terminata, che cos'è stata questa Dakar americana? nostalgia dell'Africa? Forse meno di quel che ci si aspettava. Secondo quanto dicono i piloti il percorso è stato vario ed avvincente. Tutti concordano che le prime due tappe in Patagonia siano state le più difficili, poi le Ande, il pacifico e la meraviglia dell'Atacama. Il terreno più duro rispetto a quelli africani ha causato rotture frequenti, coinvolgendo maggiormente i meccanici. Il giapponese Sugawara , pilota di uno dei due camion dello storico team Hino, già concorrente in precedenti edizioni e figlio d'arte, mi spiega che tecnicamente il paragone tra il Sahara e qui è difficile: "È vero, mancano le dune cassè, ma un check point infondo a un canyon è altrettanto avvincente da raggiungere."
Anche il rapporto con il pubblico sembra essere migliorato. Andando oltre il problema del terrorismo che ha causato il cambio di scenario, le popolazioni africane interessate avevano sviluppato una generale insofferenza nei confronti della gara. Molti la vedevano come un circo di sfarzo in mezzo alla povertà, portatore di incidenti stradali più che di buoni affari. Qui la povertà resta, ma i colori della Dakar sono visti come una diversione e non un uno sfoggio. In merito, il pilota italo-argentino Peschiera ed il suo navigatore cileno Rodriguez raccontano divertiti che, cappottando la loro Toyota Fj, hanno perso il cric e quando di lì a poco hanno forato, non sapevano come sostituire la gomma. Il problema gliel'ha risolto "un ragazzo apparso dal nulla con un cric in mano", che li ha poi anche accompagnati presso quattro gommisti diversi, fino ad incontrarne uno disposto a mettere una toppa sull'unica ruota di scorta rimastagli.
Anche politicamente la questione sembra aver avuto un bilancio positivo. Una gara di motori non basta a distogliere l'attenzione di una nazione dagli impasse di governo, ma per ora resta una buona pubblicità internazionale sull'affidabilità di Cile ed Argentina.